Corti mai visti

Analisi e recensione di cortometraggi classici sconosciuti e dimenticati

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    Gatto Silvestro

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    È da tantissimo tempo che voglio aprire questa sezione, e finalmente mi sono deciso a farlo.
    Probabilmente tutti siamo al corrente (o almeno lo immaginiamo) dell’esistenza di diversi altri studi d’animazione contemporanei ai pezzi da novanta come la Warner Bros o la Disney. Gran parte delle altre realtà in genere vengono riconosciute come blocchi singoli, come le serie di Popeye, Woody Woodpecker, Tom & Jerry o semmai “i corti di Tex Avery”, ma spesso di quest’ultime si ignora tutto ciò che gli fluttua attorno. Prendiamo ad esempio i corti di Tom & Jerry e quelli diretti da Tex Avery, tutti prodotti e distribuiti dalla Metro-Goldwyn-Mayer, più comunemente nota come MGM: in totale fra questi due gruppi ci troveremmo con 226 corti, ma il più delle volte si ignora l’esistenza di altri 132 cortometraggi usciti dal reparto d’animazione interno della Major, a cui si devono aggiungere 52 corti prodotti dall’Ub Iwerks Studio se si vuole avere un summit totale di ciò che è uscito sotto forma di cortometraggio animato dalla casa del leone fra il 1930 e il 1967.
    I numeri diventano ancora più da capogiro se si analizzano le altre due serie che ho nominato: dallo studio della serie di Popeye, che dobbiamo dividere per forza in cortometraggi dei Fleisher e dei Famous Studios, abbiamo nel primo caso altri 319 corti, mentre nel secondo ne abbiamo altri 455. Woody Woodpecker ha in totale 196 corti, ma il suo studio (il Walter Lantz Studio) ne ha prodotti altri 414. E tutto questo senza contare gli studi che non hanno niente a che fare con queste serie.
    Concorderete sul fatto che si tratta di una mole gigantesca di materiale praticamente “inedito” al grande pubblico, materiale che negli ultimi tempi (più o meno dall’inizio dell’anno scorso) ho incominciato ad accumulare, analizzare ed apprezzare.
    Oggi voglio parlarvi di una delle mie ultime scoperte di questo grande, gigantesco catalogo, partendo alla grande con due dei cortometraggi della Hollywood classica più sconosciuti ed assolutamente dimenticati, talmente dimenticati che non hanno mai ricevuto una grande distribuzione da parte di una delle 5 Majors (Warner Bros, MGM, Paramount, Twenty Century Fox e RKO) o delle tre Minors (Universal, Columbia e United Artist).
    I cortometraggi in questione sono stati prodotti da uno sconosciuto ai più Ted Eshbaugh (1906-1969), il primo è uscito nel 1932 e il secondo (si fa per dire, poi vi spiego) nel 1933.
    Sono tutti disponibili in delle ottime versioni su YouTube che vi linkerò. È a vostra indiscrezione se guardarli prima o dopo aver letto, io però consiglio prima.

    The Snowman (1932, T. Eshbaugh)



    Siamo al Polo Nord, e ci troviamo di fronte ad uno dei primi esempi di cortometraggio d’animazione a colori della storia: il primato spetta a Fiddlesticks (1930) di Ub Iwerks.
    La storia parla di un gruppetto di abitanti delle gelide zone artiche, composto da animali di vario tipo (in qualche modo anche una tigre e un fenicottero), capitanati da un piccolo eschimese. Il gruppo, dopo essersi goduto un letargo di 6 mesi, si raduna per creare un pupazzo di neve (quello del titolo), che una volta completo prende vita ed inizia a ribellarsi contro i poveri locali sotto forma di un terribile mostro. Spetterà al piccolo eschimese riportare la situazione alla normalità.
    Durante il corto, che è di una modernità allucinante se si pensa all’anno di realizzazione, assistiamo a delle scelte di regia che fanno pensare ad un vero e proprio prodigio del settore; ci sono diversi esempi di montaggio alternato e di stacchi veloci ed adrenalinici per le parti dalla maggiore tensione, e la scelta dei colori, seppur limitata, è stata studiata alla grande, sfruttando al massimo le potenzialità che il Technicolor a due colori ha.
    C’è da fare un appunto a proposito del colore, la versione del video linkato in realtà è una ristampa in Cinecolor, in quanto la versione originale in Technicolor risulta irreperibile se non addirittura perduta. Le grosse differenze si limitano al fatto che le due componenti RGB (red, green e blue) usate nel Technicolor a due colori sono il rosso e il verde, mentre quelle del Cinecolor (sempre a due colori) sono il rosso e il blu. In ogni caso la resa è davvero ottima, e anzi, conoscendo diversi corti prodotti con entrambi i processi di colorazione, azzarderei a dire che un corto ambientato al polo nord, fra igloo e ghiacciai, è più adatto al blu del Cinecolor piuttosto che al verde del Technicolor, fermo restando che sarebbe comunque bello (se non quasi indispensabile) vedere anche il corto con la resa dei colori finale voluta da Eshbaugh.
    In questo corto inoltre assistiamo a diversi temi ricorrenti, che troveremo anche nella filmografia successiva del regista, primo fra tutti il tema del girotondo, seguito da quello del piccolo villaggio felice, fin troppo felice, nauseabondamente felice, sempre occupato in piccole azioni dei personaggi, che sembrano essere stati plasmati per svolgerle nella più completa serenità e dedizione, e senza perdere la calma nel caso in cui qualcosa vada storto.
    Veramente un piccolo corto delizioso e immancabile, tutti dovrebbero vederlo almeno una volta, una perla per chiunque si definisce appassionato d’animazione.
    Non vi ho ancora convinto? Le musiche sono di Carl Stalling. Di più non posso fare.

    The Wizard of Oz (1933, T. Eshbaugh)



    Non esistono altri aggettivi nel vocabolario galattico per descrivere questo corto meglio di “capolavoro”. Un corto dall’uscita (mai avvenuta) estremamente travagliata, e che se fosse stato visto di più ai suoi tempi, probabilmente avrebbe cambiato non poco nella storia dell’animazione.
    La storia è quella de Il Meraviglioso Mago di Oz di L. Frank Braum, quindi non sto a dilungarmi. Ci tengo solo a precisare che anticipa di ben 6 anni il ben più noto film di Victor Fleming del 1939, che no, a quanto pre non è la prima trasposizione a colori del Mago di Oz.
    È proprio sul colore che si erge la colossale magnificenza di questo cortometraggio. A differenza di The Snowman, qui ci troviamo davanti ad un corto realizzato in Three-Strip Technicolor, e la cosa sembrerà un po’ strana a chi ha famigliarità sopratutto con la filmografia Disney (quindi non il sottoscritto). La Disney nel 1932 ha stilato un contratto d’esclusiva con l’azienda per il loro processo di colorazione più performante, cosa che ha reso impossibile per gli altri studi principali di servirsi di un processo di colorazione “pieno” fino agli ultimi mesi del 1935, dovendosi quindi accontentare con altri processi come il Two-Hue Technicolor o il Cinecolor.
    Ora, chiunque si chiederebbe a sto punto come è possibile che nel 1933 è uscito un corto in Three-Strip Technicolor non Disney. La risposta è che non l’ha fatto. Il copyright è del 1933, ma il corto non ha mai ricevuto una distribuzione, in quanto a tutti gli effetti era considerato “fuori legge”. Evidentemente Ted Eshbaugh, essendo un indipendente, era già in lavorazione su questo corto quando il contratto d’esclusiva è partito, la gestazione è andata avanti, ma alla fine non ne è stata permessa la distribuzione. Un vero peccato, questo poteva essere il punto di partenza di qualcosa di estremamente interessante, pazienza.
    Un primato però se lo è portato a casa, è il primo corto in Three-Strip Technicolor non Disney, battendo di due anni The Old Plantation (1935, Rudolf Ising).
    Anche in questo caso le musiche sono di Carl Stalling, e udite udite, questa volta ne è anche il produttore, seppur non accreditato. È l’unico caso in assoluto dove Stalling ha fatto da produttore.
    C’è da chiedersi che tipo di rapporto avesse con Eshbaugh, in quanto il compositore era allo studio di Ub Iwerks in quel periodo.
    L’impronta di Stalling comunque c’è e si vede moltissimo in questo corto, sopratutto nel meraviglioso numero musicale che c’è nella seconda parte, palesemente ispirato alle note di The Skeleton Dance (1929, Walt Disney), di cui come ben sappiamo Stalling ha curato le musiche.
    Si potrebbe andare avanti all’infinito ad elogiare gli enormi punti a favore di questo corto, ma sarebbe ridondante. Vedetelo e basta, non ci sono mezze misure.

    Per ora è tutto, d’ora in poi utilizzerò questa sezione ogni volta che vorrò parlare di qualche corto non Warner particolare e sconosciuto. Alla prossima!
     
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    Porky Pig

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    Davvero un bel topic.

    The Snowman e The Wizard of Oz sono due corti davvero belli (specialmente il secondo), contentissimo di averli visti. Grazie per averli introdotti Lore :)

    Sono curiosissimo per i prossimi corti di cui parlerai.
     
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    Gatto Silvestro

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    Ho scoperto delle cose che non conoscevo! Grazie davvero, Lorenzo! :rolleyes:
     
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    Porky Pig

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    Lorenzo, persone come te andrebbero URGENTEMENTE contattate dai network televisivi e messe al servizio del pubblico in quanto da quel poco che ho potuto leggere tra le tue recensioni sei davvero un esperto di cartoni animati all'ennesima potenza. Tutte queste tue informazioni -immagino assimilate in ANNI di ricerche- dovrebbero poter essere raggruppate in pubblicazioni e/o documentari esclusivi di sicuro interesse. Rimango sbalordito. Qualsiasi cartone animato passato sotto i tuoi occhi viene a noi restituito corredato di una mole di dati, nozioni e curiosità. Fai in modo che tutto questo non vada mai perduto, è un patrimonio importante per tutti gli amanti del cinema d'animazione.
     
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    Bugs Bunny

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    Grazie Lorenzo!
    Che ne dici di aprire un blog? Credo che lo seguiremmo tutti volentieri :lol:
     
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    Willy il Coyote

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    Grande Lorenzo...perle e meraviglie di cui non conoscevo
     
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    Willy il Coyote

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    Topic interessantissimo. Aspetto il prossimo con ansia
     
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    Gatto Silvestro

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    Rooty Toot Toot (1951, John Hubley)



    Hollywood ha prodotto cortometraggi di ogni tipo nella sua Golden Age, dai surrealisti lavori dei Fleisher o di Van Beuren, passando per gli ammiccanti lavori di Walt Disney, fino allo stile slapstick dei corti Warner o MGM. Ce n’è per tutti i gusti, ma se ci si ferma a pensare a quanti sono i cortometraggi che sono riusciti a fare da spartiacque in questo periodo, ovvero dove le innovazioni portate sono tali da cambiare completamente lo stile cinematografico che c’è stato prima, probabilmente è possibile contarli sulle dita delle mani.
    Su due piedi mi vengono in mente The Skeleton Dance (1929, Walt Disney), Popeye the Sailor Meets Sinbad the Sailor (1936, Dave Fleisher), The Dover Boys (1942, Chuck Jones) e Gerald McBoing Boing (1950, Robert Cannon).
    Oltre a questi però vorrei proporvene un altro, un cortometraggio mediamente conosciuto al giorno d’oggi, e su cui vale sicuramente la pena spendere due parole, il mitico Rooty Toot Toot del video che vi ho linkato, che se ancora non avete visto vi consiglio di farlo prima di proseguire.
    La trama ruota attorno ad un caso giudiziario costruito sulle note del classico brano Frankie and Johnny, dove la protagonista, Frankie, è accusata di aver assassinato il suo fidanzato Johnny, vicenda che vedremo da più punti di vista (testimone 1, testimone 2 e avvocato), il tutto completamente costruito in chiave jazz.
    Partiamo dallo stile, vero punto focale di questo cortometraggio candidato agli Oscar nel 1952. Non è assolutamente la prima volta che viene utilizzato uno stile di animazione e di creazione degli sfondi stilizzato: l’esempio più conosciuto degli anni precedenti è il già citato The Dover Boys, così come quello che è considerato il capostipite dell’influenza UPA che investirà l’intera animazione del periodo e dei decenni successivi, il sempre già citato Gerald McBoing Boing. Mi verrebbe da dire che l’intera serie di The Little King e di Sentinel Louie di Van Beuren (1933-1934) è stata la prima occasione in cui è stato utilizzato consapevolmente uno stile che fa dello stilizzato un marchio di fabbrica; i cortometraggi muti sono esclusi dal discorso per via delle ovvie limitazioni tecniche di un mezzo ancora in stadio d’evoluzione.
    Certo è che Rooty Toot Toot ha portato questo stile di linguaggio ai massimi livelli per la prima volta in assoluto. Una delle cose più interessanti è che ogni singolo personaggio è stato curato in maniera completamente diversa, utilizzando quindi stili di stilizzazione molto variegati: la protagonista è realizzata come se fosse uno scarabocchio di un bambino, con le fattezza facciali formate da delle semplici linee anche abbastanza “brutte”, sopratutto quando è necessaria un’espressione particolare; il bartender è praticamente una macchia di colore, attorno alla quale è stato realizzato il contorno del corpo del personaggio, che è quindi interamente formato da una macchia e una linea; l’avvocato invece ha uno stile più classico, stilizzato, ma con bordi ed espressioni facciali ben definiti, molto più alla The Dover Boys, e si potrebbe andare avanti.
    Ci sono momenti in cui gli sfondi sono composti letteralmente da delle semplici linee poste su uno sfondo bianco. Spesso sono vuoti, tanto da restituire un effetto straniante quando si passa ad uno sfondo più particolareggiato e colorato: un esempio lo si può trovare quando Johnny inizia a scappare dai proiettili nella versione della storia dell’avvocato.
    Alcune delle parti più memorabili del corto sono sicuramente il giudice che fa tornare la calma nel tribunale con una sorta di assolo di batteria realizzato col suo martello, il modo in cui i personaggi muoiono e il bellissimo numero musicale (all’interno di un corto musicale) che c’è quando Frankie viene giudicata non colpevole, con all’interno uno degli esempi di animazione più iconici che io abbia mai visto.
    Insomma, un grandissimo classico sottovalutato, che ben si sposa coi ben più famosi Coal Black and de Sebben Dwarfs (1943, Bob Clampett) e Three Little Bobs (1957, Friz Freleng) come una delle più belle canzoni animate di 7 minuti. Un vero e proprio spartiacque che ha influenzato decine e decine di opere degli anni successivi, in particolare modo molti sfondi di Maurice Noble dei corti di Chuck Jones, dove anche qui bordi e colore degli elementi sono parti separate, permettendo così al 2D allo stato puro di avere profondità. Un qualcosa di straordinario se ci pensate.
     
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    Gatto Silvestro

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    Gypped in Egypt (1930, John Foster & Mannie Davis)



    Non so quanti di voi abbiano famigliarità coi lavori di Van Beuren. Personalmente appena un anno fa l’unica cosa che conoscevo dello studio era che avevano curato gli unici tre corti di Felix the Cat sonori e a colori mai fatti, tutti usciti nel 1936. Basta così.
    Vuoi un po’ per curiosità, un po’ per caso, alla fine mi sono imbattuto nel DVD dell’intera serie di Tom & Jerry, non il gatto e il topo, ma un paio di vagabondi, uno alto e uno basso, che svolgono diverse mansioni nel corso dei 26 cortometraggi che compongono la serie, tutti usciti fra il 1931 e il 1933, di cui sicuramente parlerò in futuro.
    Ebbene, come contenuto speciale in questa raccolta erano proposti anche i 4 cortometraggi di Waffle & Don (tutti del 1930), fondamentalmente dei prototipi di Tom & Jerry, ma invece di essere umani sono due gatti, sempre uno basso e uno alto.
    Veniamo ora alla trama del corto in questione, l’ultimo del duo, un corto molto particolare che probabilmente nessuno di voi ha mai visto o ha sentito parlare fino ad ora.
    Siamo in Egitto, Waffle & Don stanno cavalcando (si fa per dire) un cammello dalle fattezza alquanto strane, sono nel bel mezzo del deserto. Dopo qualche metro avvistano una minuscola pozza d’acqua e, nonostante non avessero l’aspetto di chi stesse in carenza di liquidi, esultano alla mistica visione, i due gatti e il cammello.
    Avvicinati alla pozza però le cose si complicano, in quanto anche lo schiav… cammello si mostra assetato, ma Waffle & Don, che non sono proprio compassionevoli, decidono che non ne ha il diritto, e quindi lo ammazzano di botte. Un minuscolo ramoscello lì vicino si trasforma in un uccello che si beve tutta l’acqua della pozza, solo un leggero avvertimento di ciò che spetta ai due peccatori, che di lì alla fine del corto daranno l’impressione di attraversarsi ogni girone infernale, ma in versione egizia.
    Un’enorme sfinge si avvicina dallo sfondo, prima nella sua interezza, poi solo il volto, guarda in faccia i due disgraziati ed esclama “You killed him”, facendoli sprofondare all’interno della tomba di una piramide.
    All’interno assisteremo ad una scena folle dietro l’altra, da un sarcofago che diventa una sirena anti-incendio quando gli tiri il pizzetto, alla statua scolpita di un faraone su una tomba, che in un momento di confusione viene sbattuta giù dalla sua postazione, per poi diventare un uccello e scappare via da un anfratto del muro.
    Una delle cose più divertenti di questo corto è il rapporto che c’è fra i due protagonisti: mentre Waffle si mostra spaventato, molto succube di quello che sta succedendo, Don ha un aspetto molto interessato e curioso alla vicenda. A lui piace toccare e curiosare, e quindi, avendo a che fare con una miriade di scheletri, si diverte a prendersi parti delle loro ossa, per poi picchiarli con esse o semplicemente per non restituirgliele. Waffle poi ne subisce le conseguenze in termini di emotività.
    Ciò che si impara dopo aver visto diversi corti di Van Beuren, è che quando si ha a che fare con qualcosa di leggermente demoniaco, in genere si assiste ad un momento di calma grazie alla musica. Non si sa per quale motivo, ma c’è sempre un pianoforte ad aspettare i due protagonisti, che siano Waffle & Don o Tom & Jerry.
    Un’altra cosa molto molto curiosa è il fatto che un cortometraggio come questo, che su Letterboxd è stato salvato da appena 28 persone (per avere un confronto numerico, Duck Amuck è stato salvato da circa 10 mila persone), abbia in realtà ispirato ben due pezzi grossissimi degli anni successivi: la Silly Symphonies Egyptian Melodies (1931, Wilfred Jackson) e il corto Porky in Egypt (1938, Bob Clampett), il primo col meraviglioso ballo dei geroglifici, che sarà ricreato e allungato nel successore, e il secondo con la caratterizzazione (prevalentemente facciale) del cammello, che ricorda in tutto e per tutto il cammello del corto di Porky Pig, soprattutto nella scena finale.
    Dello stesso anno, ma di qualche mese precedente, è un altro corto costruito attorno ad un cammino verso l’inferno del povero protagonista peccatore, un corto meraviglioso di cui sicuramente parlerò. Questo per dire che è un continuo ispirarsi a vicenda questo settore, è impossibile (e anche inutile) stabilire chi ha definitivamente ispirato chi.
    Sarò uno dei pochi, ma a me piacciono i prodotti che si mostrano con una “pasta” estremamente datata, che si capisce subito che arrivano da un mondo indietro anni luce dal tuo. Gypped in Egypt potrebbe tranquillamente essere un cortometraggio muto, ne ha tutte le fattezze. Molti corti del duo Waffle & Don/Tom & Jerry hanno questa caratteristica, ed è per questo che mi fanno venire una gran voglia di vederli, rivederli, studiarli e capirli, perché da che uomo è uomo c’è l’interesse di capire il passato mediante ciò che c’è stato lasciato.
    Se volete anche voi respirare l’aria degli anni ’30, coi suoi suoni e i suoi problemi, questi corti vi coglieranno a braccia aperte, e Gypped in Egypt è il modo migliore per partire. Se ti piace prosegui, se no lasci l’idea per sempre.

    Edited by LorenzoP. - 29/3/2020, 16:33
     
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    Che bellezza!
    Recupero solo adesso questa discussione!
    Grazie infinitamente per queste chicche e per aver parlato di questo argomento.
    Non ero assolutamente a conoscenza di tutto questo immenso materiale inedito di cui hai parlato.
    Sarebbe bellissimo se potessi dirci come recuperarlo.
    Sono assolutamente d'accordo con te: tali capolavori sono pura arte e non dovrebbero restare nell'ombra e sconosciuti ai più.
    Grazie per la tua testimonianza e per la tua passione che traspare in ogni tua descrizione dei quattro corti che ci hai fatto conoscere! <3 <3 <3
     
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9 replies since 5/3/2020, 23:23   467 views
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