I 7 Cortometraggi d'Animazione da Salvare

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    Gatto Silvestro

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    Ciao a tutti! Ripensando agli svariati corti d’animazione che ho visto negli ultimi tempi, ho deciso di fare un summit fra tutti gli studi della Golden Age dell’animazione, selezionando i loro lavori migliori, per poi pormi la domanda: se dovessi preservare per i posteri una testimonianza di questa fetta della storia del cinema, quali corti sceglierei? E sopratutto quanti? Prendendo come esempio liste del tipo “Le 7 Meraviglie del Mondo” o “I 7 Vizi Capitali”, ho deciso che 7 sarebbe stato il mio numero, e che mi sarei limitato a corti sonori prodotti fra il 1928 e il 1969 dagli Studios americani.
    Considerando che in questo periodo sono stati prodotti più di 5000 cortometraggi da 13 studi d’animazione per 8 Studios di Hollywood, oltre al fatto che ovviamente non gli ho visti tutti (forse 1 su 3), selezionarne 7 non è stato affatto facile, ma ecco a voi i miei favoriti assoluti, rigorosamente in ordine cronologico, e scelti senza tener conto di alcuna lista precedentemente stilata, né Jerry Beck né il National Film Registry.


    The Skeleton Dance (1929, Walt Disney)

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    Ecco qui la genesi, l’embrione, l’inizio di tutto. Come per la Terra c’è stato il Big Bang, per l’animazione moderna c’è stato The Skeleton Dance. Nato dalla geniale idea di Carl Stalling (che si meriterebbe più di tutti di stare nel titolo come autore) di costruire cortometraggi d’animazione simultaneamente alla loro colonna sonora, rendendo forse per la prima volta nella Storia del Cinema la musica narrativa, questo corto combina perfettamente le straordinarie capacità del mitico animatore (e futuro regista) Ub Iwerks col potere che ha un mezzo per lo più nuovo (ricordiamolo, il cinema interamente sonoro è nato nel 1928), portandosi dietro quella sensazione di stupore che gli abitanti di Lione hanno provato quando un treno gli ha quasi “investiti”.
    La trama è semplicissima: a mezza notte gli scheletri di un cimitero escono dalla tomba, danzano fino all’alba, e poi tornano da dove sono venuti. Ogni grande figura dell’animazione degli anni successivi deve la sua esistenza (e quella dei loro corti) a The Skeleton Dance, senza di esso l’animazione come la intendiamo oggi non esisterebbe.
    Andando al di là del valore storico, che sottolineo ancora, è inestimabile, questo rimane un corto veramente molto piacevole da guardare, invecchiato assolutamente benissimo, a differenza degli altri corti del periodo come i primi di Mickey Mouse, delle Aesop Fables o dei Talkartoons, e anche (e sopratutto) dei corti di Bosko, Buddy o Oswald the Rabbit, di anni successivi.
    Non capisco come sia possibile che non si trovi ancora nel National Film Registry (Steamboat Willie c’è), ma almeno è nel libro The 50 Greathest Cartoons di Jerry Beck al 18° posto.


    Bimbo’s Initiation (1931, Dave Fleisher)

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    Esattamente come The Skeleton Dance, questo è un corto che se pensi all’anno d’uscita, per poi giudicare la sua qualità, non puoi che rimanere sbalordito. La trama è ancora più delirante di quella del corto precedente: il tutto comincia con Bimbo che sta facendo una passeggiatina in mezzo alla strada fischiettando, finché non finisce in un tombino che lo porta in una loggia sotterranea di massoni che ballano incessantemente ripetendo al povero Bimbo “Wanna Be a Member? Wanna Be a Member?”. Ovviamente quest’ultimo insiste nel rispondergli no.
    È impossibile descrivere più nel dettaglio la trama, ogni cosa animata o non (nel mondo dei Fleisher non c’è alcuna differenza) che entra in contatto con Bimbo non fa altro che creare altri momenti di pura e delirante follia.
    Essendo un corto abbastanza sconosciuto al grande pubblico, non voglio dilungarmi troppo e rischiare di rovinare la visione a chi magari ancora non lo ha visto. Mi limito solo a dire che la versione primordiale di Betty Boop (quella canina) ha un ruolo secondario in questa vicenda.
    Ovviamente tutta questa follia e confusione è dovuta al fatto che ci troviamo nel pieno della Grande Depressione, in un mondo dove la gente (Bimbo compreso) non sa come muoversi e da che parte girarsi, rischiando sempre di sbagliare, e trovandosi il più delle volte in una situazione ancora peggiore. È estremamente attuale un approccio come questo, spero però che a nessuno venga in mente di profanare questo capolavoro facendone un remake, meglio che resti nei meandri oscuri di quella parte della storia del cinema accessibile solo agli amatori, che non rischiano di fare dei danni irreversibili.
    Vorrei andare avanti parlando anche di quanto un corto del genere non sarebbe MAI potuto essere creato dopo l’introduzione del Codice Hays (luglio del 1934), ma rischio di dilungarmi troppo e di fare degli inevitabili spoiler, quindi mi fermo qui.
    Inserito nel libro di Jerry Beck al 37° posto.


    Russian Rhapsody (1944, Bob Clampett)

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    Facciamo un salto di ben 13 anni (di cose ne sono successe nel mezzo, ma evidentemente non da entrare in lista), per addentrarci nel pieno della Seconda Guerra Mondiale. L’animazione ha avuto un ruolo di prima linea in questo periodo per quel che riguarda la propagande bellica; quasi ogni studio di Hollywood ha dato la sua per spingere il popolo a credere in ciò per cui si stava combattendo (Clampett l’anno dopo si è mosso nella direzione opposta, ma questa è un’altra storia). Quelli che hanno sicuramente avuto un ruolo più centrale sono la Paramount con Popeye e la Warner Bros., che oltre a svariati corti dove le loro star maggiori (Bugs e Daffy) si mettevano a suonarle ai “Japs” e ai nazisti, hanno creato una serie apposita, fatta unicamente per l’esercito americano, volta a intrattenerli e ad istruirli allo stesso tempo, la serie di Private Snafu.
    Russian Rhapsody è sicuramente il corto di propaganda più divertente, estremo ed interessante ad essere uscito. Parte tutto con Hitler che sbraita hamburger, hasenpfeffer e Friz Freleng al suo popolo germanico, imbufalito per tutti gli aerei che ha mandato a bombardare Mosca, ma che non hanno mai fatto ritorno; si pensa che la causa di ciò siano i Gremlins. Il nostro Adolf (The Greather Superman of All Time!) prende quindi di polso la situazione e decide di partire per andare a bombardare Mosca di persona, costi quel che costi.
    Varcato il confine del cielo russo però, a sua completa insaputa, i Gremlin (quasi tutti caricature dei registi/animatori/produttori della Warner) cominciano a manomettere il suo aereo, il tutto accompagnato dalle note de The Song of the Volga Boatmen.
    Mi rendo conto che un corto del genere si porta dietro tante di quelle problematiche che sarebbe improponibile una ridistribuzione oggi, ma sarebbe davvero il caso di sensibilizzare le nuove generazioni a questa oscura parte della storia dell’animazione, mettendo da parte le grasse risate che le gag deliranti si portano dietro, e riflettendo su quanto una testimonianza del genere sia inestimabile per capire davvero che cosa è stata la guerra, dove anche le cose più terribili (come le “bombe incendiarie” di Blitz Wolf (1942, Tex Avery)) diventano delle semplici gag. Quando la morte è all’ordine del giorno, nulla è sacro.


    Magical Maestro (1952, Tex Avery)

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    Passiamo ora ad un clima molto più sereno, anche se poi non così tanto. Ci troviamo di fronte a quello che probabilmente è il corto più esilarante della storia del cinema, una prova assoluta dell’uso dei tempi comici e del suono, compressi in poco più di 6 minuti. La trama è di una banalità imbarazzante: un venditore ambulante di bacchette magiche decide di vendicarsi del baritono Pochini (Spike il mastino) per non avergliene comprata una, interferendo continuamente col suo spettacolo usando una delle sue bacchette.
    Partiamo dal presupposto che Tex Avery, così come ogni altra figura dell’animazione di Hollywood, era ben cosciente di ciò che si portavano dietro le numerose scene politically incorrect che creavano. Evidentemente il nostro genio si è reso conto che i tempi stavano cambiando, e che quel modo di fare animazione di lì a poco sarebbe deceduto, decidendo così di realizzare un corto che racchiuda in sé ogni stereotipo razziale possibile ed immaginabile, portando il tutto ad una normalità e fluidità tale da annullare completamente le possibili offese che ciò poteva comportare. In questo corto sono tutti stereotipati in egual modo: neri, cinesi, hawaiani, brasiliani, redneck, indiani e Tex Avery stesso, con la parodia del cowboy armato di chitarra e Oh My Darling, Clementine.
    Le gag geniali si sprecano davvero qui, dai conigli che a quanto pare si riproducono in uno schiocco di dita, alla mitica gag del pelo, ripresa da Aviation Vacation (1941, Tex Avery), che per forza di cose va spiegata per capirla appieno. Praticamente capitava spesso che durante le proiezioni, se la pellicola veniva montata male, sfregiando sui denti si venivano a creare dei piccoli “peli” di celluloide, che poi venivano proiettati sul grande schermo assieme all’immagine, dando l’illusione che ci fosse un enorme capello nel bel mezzo del film. Accorto dell’errore il protezionista andava a mano a rimuovere il pelo, ma evidentemente in questo caso non se n’è accorto, e quindi ci pensa Spike. Si dice che ai tempi questo corto venisse distribuito con un’avvertenza sulla custodia, in modo tale che i protezionisti non si mettessero a rimuovere peli che in realtà non esistevano.
    Selezionato nel National Film Registry nel 1993.


    The Tell-Tale Heart (1953, Ted Parmelee)

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    Sbalorditivo, non esistono altri aggettivi per descrivere questo corto. Uscito da quello che sicuramente possiamo definire “lo studio d’animazione più innovativo di Hollywood” (l’UPA), questo è uno dei rarissimi esempi di corti d’animazione del periodo che non sono una commedia, neanche un po’. La storia qui invece prende spunto dal breve racconto Il Cuore Rivelatore (1943, Edgar Allan Poe), e viene narrata dal mitico attore inglese James Mason (1909-1984).
    Trasportando impeccabilmente l’atmosfera dei lavori dello scrittore sullo schermo, lo sconosciuto ai più Ted Parmelee ci racconta attraverso gli occhi di un uomo pazzo le ossessioni che una mente malata si porta dietro: in questo caso l’occhio cieco del padrone di casa dove vive anche il nostro protagonista, che noi non vedremo mai, se non in ombra o in minuscole parti.
    Il corto è quanto di più inquietante e disturbante si possa immaginare da un qualsiasi prodotto filmico, animato o non. È composto principalmente da fondali in movimento o in dissolvenza, quasi nessuna animazione, tutto un gioco di colori freddi e spenti, luci, bui (tanti bui), suoni e musiche provenienti dagli inferi più profondi e malinconici. Si nota una certa attenzione al periodo dell’espressionismo tedesco, Wiene sarebbe stato orgoglioso.
    Non c’è niente da fare, un corto del genere piace o non piace, non ci sono mezze misure. L’UPA è nota per aver prodotto dei corti estremamente particolari e rivoluzionari, come il mitico Gerald Mc Boing Boing (1950, Robert Cannon) o l’esilarante Rooty Toot Toot (1951, John Hubley), anticipando di anni e anni quello che sarebbe stato il modo di fare animazione negli anni successivi a causa dei budget sempre più ridotti.
    L’UPA era un minuscolo studio i cui corti venivano distribuiti dalla Columbia Pictures, ai tempi una Minors, uno studio che è partito dal periodo immediatamente successivo alle Leggi Antitrust, dove le Majors e le Minors non potevano più puntare sulla possibilità di vendere i loro lunghi e cortometraggi a pacchetti, ma gli esercenti potevano comprare le pellicole singolarmente; i produttori di corti animati allora si sono dovuti tirare su le maniche, puntando sulla qualità e sulla creatività, ma limitando le risorse al minimo indispensabile. È molto più facile fare tutto questo per uno studio nato da zero piuttosto che per quelli che sono stati abituati a lavorare a pieno budget, facendo così dell’UPA un paradiso creativo per chi ne aveva abbastanza delle grosse produzioni, e voleva puntare solo e soltanto sull’autorialità. Robert Cannon dall’MGM e Paul Julian dalla Warner Bros. (che di The Tell-Tale Heart ha fatto gli sfondi e la colorazione) sono solo due delle figure che hanno trovato nell’UPA la loro nuova casa.
    Selezionato nel National Film Registry nel 2001, inserito al 24° posto nel libro di Jerry Beck e candidato al 26° Academy Awards come miglior cortometraggio. Scusate se è poco.


    Now Hear This (1963, Chuck Jones)

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    Come potete intuire dal mio avatar, questo è il mio corto d’animazione preferito in assoluto. Non esistono parole per descrivere le sensazioni che ho provato la prima volta che ho messo gli occhi su questo capolavoro; sicuramente si tratta del corto della Warner Bros. più unico dell’intera libreria. Ammetto che col tempo mi sono reso conto che deve molto alla scuola UPA, ma non per questo devo diminuire la stima che ho nei suoi confronti. Chuck Jones a mio avviso ha qui raggiunto il suo apice autoriale assoluto: guardando Now Hear This ho la meravigliosa sensazione che il regista sia riuscito a realizzare il corto della sua vita, quello che avrebbe sempre voluto fare.
    Le vicende seguono un gentiluomo inglese che ha necessità di cambiare il suo vecchio apparecchio acustico, solo che per caso si imbatte nel corno del Diavolo, che all’inizio del corto abbiamo scoperto che ha perso. La "parte" del demonio comincia a far sentire strane cose al nostro mal capitato, passando da armoniose melodie al caos più assoluto, fino a portarlo a preferire un mondo senza suoni. Quando parlo di suoni, parlo dell’infinita ed irresistibile libreria di effetti sonori che per anni abbiamo sentito nei corti Warner, accompagnati dalla meccanica (e quindi giustissima) colonna sonora di Bill Lava.
    Mi trovo molto in difficoltà a parlare di questo corto, vorrei riuscire a rendergli giustizia, ma so che la cosa migliore da fare è invitare chiunque non l’abbia ancora fatto a guardarlo e ad apprezzarlo. Per la prima volta abbiamo a che fare con i crediti stilizzati che saranno adottati dalla DePatie-Freleng negli anni successivi, ma la cosa straordinaria è che qui sono parte integrante del film, sia i titoli iniziali che quelli finali, e anche i crediti di chi ha lavorato su questo corto. Magari non ci si pensa spesso, ma non sono molti gli esempi di opere che sono “utili” dal primo all’ultimo secondo. Le campane dei titoli finali sono solo un modo per lo spettatore di risvegliarli da quel mondo di caos e follia che ci è stato proposto.
    Non si ha idea se questo fosse solo il primo di una nuova serie di corti one-shot che avrebbero fatto dei budget ridotti un pregio invece che un difetto. Quel che si sa è che di lì a poco Chuck Jones sarebbe stato licenziato dalla Warner, McKimson e Hawley Pratt dell’unità di Freleng avrebbero riutilizzato i titoli stilizzati rispettivamente per gli splendidi Bartholomew Versus the Wheel (1964) e Señorella and the Glass Huarachë (1964), e il reparto d’animazione interno della Warner Bros. avrebbe chiuso di lì a poco. Un progetto sospeso e la consacrazione di una mitologia.
    Candidato al 35° Academy Awards come miglior cortometraggio.


    The Bear That Wasn’t (1967, Chuck Jones)

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    Siamo arrivati alla fine, facendo entrare in lista un altro corto di Chuck Jones, rendendolo così l’unico regista ad avere due suoi lavori fra quelli che io ritengo i migliori corti d’animazione in assoluto. Questo è stato prodotto dall’MGM, con cui Jones ha creato un sodalizio assieme alla sua casa indipendente Sib Tower 12 a seguito della sua dipartita dalla Warner Bros. Questo periodo è noto per una nuova serie di corti di Tom & Jerry, ma in realtà sono stati realizzati altri due corti one-shot di dieci minuti: uno è questo e l’altro è The Dot and the Line (1965, Chuck Jones).
    La storia prende spunto dal libro per bambini omonimo, scritto dall’ex collega di Jones Frank Tashlin, che di questo film è produttore (anche se non ne ha minimamente preso parte), e di cui successivamente si riterrà per niente soddisfatto. Sta di fatto che di Tashlin non c’è nulla qui (mi riferisco al periodo dove ha lavorato alla Warner, dove ha creato diversi corti molto interessanti), lo stile è tutto Jonesiano, e si vede.
    La trama segue un povero orso, che a seguito del suo letargo, scopre che intorno alla sua grotta è stata costruita un’enorme fabbrica. L’animale viene subito scambiato per un operaio della fabbrica, gli viene quindi intimato di tornare al lavoro. Il nostro orso però avverte il responsabile che c’è stato un malinteso, in quanto lui è un orso. Ovviamente il responsabile non gli crede, accusandolo di essere semplicemente “a silly man who needs a shave and wears a fur coat”, che tradotto letteralmente è “un babbeo che ha bisogno di radersi ed indossa una pelliccia”. Il nostro orso passerà quindi di responsabile in responsabile per cercare in tutti i modi di convincere i vari presidenti di essere un orso, ma l’evidenza dell’assurdità di un orso in una fabbrica ha la meglio, mettendo il protagonista nella condizione di ritenersi lui quello sbagliato.
    Tutto questo è ovviamente una satira geniale sull’oppressione dell’era industriale e su quanto gli uomini comuni sono solo dei piccoli ingranaggi della macchina che distruggerà il pianeta su cui vivono. Come per Bimbo’s Initiation siamo di fronte ad un corto molto attuale, e che fa della sua forza il suo essere costruito su dei temi sempre caldi, e sempre moderni. È tutto mostruoso ciò che scombussola la vita del povero orso, dai macchinari che distruggono il suo ambiente, a quelli che poi è costretto ad utilizzare nella fabbrica durante il meraviglioso numero musicale dal titolo omonimo a quello del film.
    Non posso esimermi da nominare la meravigliosa colonna sonora, molto anni ’60, di Dean Elliott, che ha anche orchestrato alcuni dei corti di Tom & Jerry di Jones.
    Questo è stato l'ultimo corto cinematografico diretto da Chuck Jones, e l'ultimo distribuito dall'MGM, marcando la fine di un'era, che di lì a poco sarebbe finita per sempre.


    Con questo ho terminato il mio discorso sui 7 corti d’animazione che preserverei per i posteri. Ci sono ovviamente una miriade di corti stupendi che non sono stati inseriti, ma spero che con questo testo sia riuscito a parlare di corti che magari non avete mai visto, invogliandovi ad approfondire le realtà dell’animazione classica all’infuori dei lavori più conosciuti di cui si parla su ogni testo a ripetizione, cosa che alla lunga (almeno per me) stanca.

    Alla prossima!

    Edited by LorenzoP. - 31/10/2019, 13:44
     
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    Porky Pig

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    Bellissima e interessante analisi! "Magical Maestro" lo avrò rivisto almeno cento volte e anche a mio parere entra di diritto in questa graduatoria. Ci sono altri due o tre cortometraggi che ancora non ho visto, ma rimedierò quanto prima.
     
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    Gatto Silvestro

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    Guarda tutti questi ce gli ho in delle copie digitali dei dvd, Russian Rhapsody e Bimbo’s Initiation invece dai BluRay.
    Se vuoi vederli per bene invece che affidarti alle orride copie del web non devi far altro che dirmi quali sono quelli che non hai ancora visto, io poi te gli mando.

    Comunque ci sono ancora moltissimi corti di cui voglio assolutamente parlare. Magari aprirò una sezione apposita chiamandola “Corti mai Visti”, così da poter parlare dei corti di Van Beuren, Ub Iwerks, Gene Deitch e altri per lo più dimenticati.
     
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    Bellissima iniziativa, Lorenzo! Complimenti.
     
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    Taz

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    Wow, un'analisi davvero degna di nota. Grazie per questa lista. Andrò a cercare questi cartoni e li godrò meglio proprio grazie all'analisi del contesto temporale che hai fornito.
     
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